Storytelling Chronicles #4

Buongiorno 😊

La settimana ricomincia con un racconto per la Storytelling Chronicles, gruppo di scrittura creativa creato da Lara de La nicchia letteraria e con la grafica di Tania di My CreaBookish Kingdom. Questo mese il tema era libero, ognuna ha potuto scegliere ciò che voleva e anche se ammetto di aver fatto un po’ fatica a decidermi mi sono lasciata trascinare di nuovo da Clarissa, la protagonista del primo racconto (per rileggerlo, lo trovate qui), e dalla sua cotta per Toby Seddlithon 😉

Clarissa è partita per le vacanze. Passerà due settimane a girare per il Regno Unito, alla scoperta delle case e dei castelli più antichi dell’Inghilterra. Ma il primo giorno nella sua adorata, seconda casa non inizia nel modo migliore: tra spoiler, sorprese rovinate e un incontro tanto meraviglioso, quanto insperato, Clarissa dovrà di nuovo fare i conti con la differenza tra realtà e fantasia.

E… le avevano appena spoilerato il finale!
Mesi di attesa, ore insonni passate sui social per sapere
quando l’ultimo capitolo sarebbe uscito, intense chat nei fandom più oscuri e oltranzisti e Clarissa era riuscita a bruciare tutti i suoi sforzi in quasi dieci minuti di conversazione con Giada Monti, aka la logorroica del dipartimento.
Erano stati i nove minuti e tre secondi più intensi della sua vita, peggio dell’unica ora di spinning a cui si era degnata di partecipare, per poi mollare e fuggire a gambe levate come l’anticristo davanti a Paolo Brosio. In quel momento, più che fuggire, avrebbe voluto seppellire Giada sotto una caterva di improperi e poi strapparle gli occhi dalle orbite. O aspettare quindici anni, fare a pezzi i suoi futuri figli e poi servire a Giada uno stufato cotto a puntino.
Così, perché si sentiva più Arya Stark che se stessa e un po’ di tortura sanguinaria le sembrava allettante.
Per la fortuna di Giada, si trovavano in due nazioni diverse, altrimenti a Clarissa l’arresto per omicidio volontario –
decisamente volontario – non l’avrebbe tolto nessuno. Si sarebbe difesa, però. Perché la causa era più che legittima.
«E poi lui muore! Cioè, ma ti rendi conto!?» al sentire il tono incredulo nel telefono, Clari abbassò lo sguardo sul proprio grembo, dove riposava il libro del misfatto. «Cinque libri a raccontarci la loro storia d’amore bollente e tormentata, poi lui viene decapitato!»
«Ah…» chiuse il volume con uno scatto secco, senza nemmeno fingere di aver dimenticato il segnalibro. Non aveva più senso continuare a leggere. «E lei invece?»
«Oh, cresce i loro gemelli e si sposa l’amico. Quella zocc…»
«Scusa, Giada. Devo lasciarti. È stato…
carino sentirti.»
Carino quanto un’invasione di locuste, scarabei e pidocchi. Tutti in una volta.
Sospirando, Clarissa abbandonò il volume nello zaino, raccolse armi e bagagli e si avvicinò all’addetta del servizio di noleggio auto di Gatwick a passo pesante. Quella vacanza si stava rivelando una pessima, pessima, pessima idea.
A iniziare dal bidone magagalattico che le aveva rifilato la sua migliore amica.
Non che Chiara non fosse giustificata. Finire all’ospedale per una lavanda gastrica post intossicazione alimentare e uscirne con un’ecografia del girino di sei settimane che le cresceva in pancia, a parer suo, rappresentava una motivazione sufficiente a spingerla sul primo volo per gli States, invece che portare avanti la loro “fuga tra ragazze” nella cara, vecchia Inghilterra.
Aveva insistito lei perché portasse le chiappe dal futuro paparino e gli desse
live la notizia. Chiara, che nei fumi dell’annebbiamento da shock se n’era uscita con un “Gli mando un messaggio”, sarebbe rimasta, fedele come Hachi con quel ben di Dio di Richard Gere. E Clari non se l’era sentita di fare la str… pessima amica.
Quindi, invece di trovarsi entrambe a Gatwick, davanti alla versione umana del bradipo di
Zootropolis, Chiara si stava godendo il suo volo intercontinentale alla volta di Washington D.C., mentre lei…
Lei pregò che gli addetti alle auto non fossero “celeri” quanto la donna che, con occhio lesso, le chiese di rifare lo spelling del suo cognome.
«M-a-n-c-i-n-i.»
Chiara avrebbe riso come una matta. Non era mai successo – mai, in nove anni di viaggi in Inghilterra – che gli addetti alle prenotazioni di qualunque cosa, hotel, auto, eventi o biglietti, azzeccassero il suo cognome. Statisticamente era impossibile, ma Clari era l’eccezione alla regola e infatti si ritrovò a firmare il foglio dell’assicurazione come “Clarissa
Mencini”. Almeno, quella volta era quasi esatto.

Habeo machina! lol Indovina: Clarissa Mencini… Non ridere (troppo).

Inviò il messaggio a Chiara proprio mentre un altro addetto le metteva in mano le chiavi della sua fiammante… Vauxhall?! Quell’auto era inguardabile, di un grigio deprimente e le scattò una foto, con cui di certo la sua amica si sarebbe divertita.

Ringraziami! Se non ti avessi spedita a W.DC, adesso dovresti salire su questo obbrobrio!
P.s. La logorroica mi ha spoilerato il finale di “Divorami l’anima”… Mi serve aiuto!

Le avrebbe risposto quando fosse atterrata, quella pignola delle regole, ma ci teneva a condividere con lei le tragedie della giornata appena iniziata. L’orologio segnava le dieci e lei già ne aveva fin sopra i capelli. Poi, però, si mise alla guida, collegò il telefono all’impianto audio e nell’uscire dal parcheggio dell’aeroporto la voce di Sua Maestà Freddie invase la macchina con Don’t Stop Me Now.
Più che un’auto, quel macinino grigio si trasformò in una discoteca su ruote, con Clarissa che scuoteva la testa a destra e a sinistra, un playback reso perfetto dalle ore infinite di prove fatte negli anni e le dita che tamburellavano sul volante.
A casa non usava mai la macchina. I suoi incidenti da ferma – letteralmente, come il panettone centrato nel cercare di togliere il freno a mano – erano diventati un marchio di fabbrica, ma lì adorava guidare. E a sorpresa, tenere la sinistra non le aveva mai dato problemi.
Si immise sull’autostrada come se la percorresse tutti i giorni, i Queen a tutto volume nelle casse e un traffico scorrevole che non le fece sentire lo stress mentre puntava verso Sevenoaks Weald, Kent.
Visto che era rimasta sola, ne avrebbe approfittato per far visita ai suoi “genitori” inglesi.
Alle superiori aveva passato un intero anno scolastico in Inghilterra, ospitata dai Clark. Ben e Hollie, e quel rompiscatole del figlio, Devon, erano diventati la sua seconda famiglia, un legame che negli anni non era mai venuto meno. Era stata quella pimpante signora a trasmetterle una passione smodata per le dimore storiche inglesi e la loro conservazione. Poi si era iscritta a uno dei suoi master al Birkbeck College
 ed era diventata anche la sua insegnante preferita.
Era quasi un anno che non li andava a trovare.
La mezzora di viaggio volò, immergendola in una campagna sempre più verde, finché non parcheggiò di fronte alla casa in Saint Julian Road. Percorse il piccolo vialetto di ghiaia, morendo dalla voglia di urlare “Sorpresa!” e finire a bere tè nello studio di Hollie, sovraccarico di libri e foto, in molte delle quali saltava fuori anche lei.
Bussò un paio di volte, ma oltre la porta bianca non si mosse manco un grammo di polvere. Normale, se Hollie stava lavorando e Ben era nel giardino sul retro a occuparsi delle sue amate peonie. Pareva Gollum con l’anello a volte. Guai a toccarle, quelle benedette peonie.
Le scappò da ridere, mentre frugava nella fessura all’angolo della facciata per recuperare la chiave di scorta. Un’estate, lei e Devon si erano dimenticati di innaffiarle per mezza giornata. Non ne avevano sofferto, ma Ben li aveva trattati come Bruto e Cassio, pugnalatori seriali di fiori indifesi.
Il veto di avvicinarsi alla pianta ancora valeva.
Entrò nel cottage quatta quatta, invisibile tipo Hermione durante la rapina alla Gringott. Sentì la porta sul retro aprirsi, un rumore di passi agitato che si dirigeva verso il salotto e decise che per primo avrebbe abbracciato Ben.
«Sorpr…»
Il balzo nel soggiorno le uscì male. Sembrò uno degli ippopotami di Fantasia, schiantato in mezzo a una casa inglese e davanti all’ultima persona al mondo che avrebbe mai immaginato trovare lì, nello sperduto Kent.
Grattachecca dei Simpson non era nulla in confronto a lei, gli occhi letteralmente fuori dalle orbite.
Si diede un pizzicotto. Bello forte.
«Ahi!»
Eh no, non era un sogno.
Capelli castano-ramati umidi e lo stesso viso sottile e mascolino che l’aveva tenuta sveglia notti intere. Occhi di un blu oceano da toglierle il fiato.
Lui. Davvero questa volta, non quella versione da incubo sognata un mesetto prima.
Ed era nudo. Gloriosamente, magnificamente nudo!
Solo quando lui si coprì con un cuscino, Clarissa ritrovò l’uso della parola.
«Toby… Seddlithon?»

Toby.
Cazzo, se gli dava sui nervi.
Con tutti i posti in cui poteva sentire quel dannato tono, casa Clark era l’ultimo in cui se lo sarebbe aspettato.
Come se tutti fossero abituati a trovarselo di fronte, pronto a sorridere e mettersi in posa per un selfie. La tizia lì davanti gli sembrava un’altra groupie esagitata, pronta a chiedergli la stessa cosa di chiunque altro.
Se solo non fosse stato nudo come un verme. Quasi fu tentato di scoprirsi di nuovo, perché quegli occhi pallati non lo stavano guardando con l’intenzione di chiedergli una foto. La ragazza si stava tatuando il suo corpo sulle cornee, ne era certo. Avanti, guardava tutto fuorché il suo viso e quello un po’ sgonfiò la sua incazzatura.
Era uscito per farsi una nuotata nel lago dietro casa, ma quel cretino del suo amico gli aveva fatto sparire i vestiti in un secondo di distrazione. Era tornato indietro di corsa, convinto di beccarlo sul fatto. Solo che nello spostarsi in salotto, quel folletto dagli occhi nocciola era sbucato dal nulla e lo aveva bloccato chiamandolo in quel modo.
Raddrizzò le spalle e si schiarì la voce, apprezzando il leggero rossore le coprì le guance per l’imbarazzo. Era complice di un dannato scherzo, ma cavoli se era carina, con quella frangetta castana tutta spettinata e le labbra color ciliegia.
«È stata un’idea di Devon?» non lo fece di proposito, ma la sua voce suonò più rauca del normale. E infastidita. Perché gli scherzi li tollerava fino a un certo punto. «Te l’ha detto lui, vero?»
La testa della ragazza schizzò in alto, trovando il suo volto e diventando ancora più rossa. Inarcò un sopracciglio, spronandola a rispondere invece di pensare al fatto che fosse nudo. Avrebbe volentieri recuperato qualcosa da indossare, ma sospettava che l’amico l’avesse ingaggiata per tenerlo così il più a lungo possibile.
«Devon… è in casa anche lui?»
Oh, no. Quella luce di sospetto nei suoi occhi non gli piacque per niente.
La sua mente stava andando a parare verso un’idea che lo spinse a fare un passo avanti, invadendo il suo spazio personale. Di solito se ne fregava di ciò che pensava di lui la gente, ma non voleva che quel folletto fraintendesse.
«
Tu saresti proprio il mio tipo, ma dimmi» abbassò lo sguardo finché non restò incatenato a quello della ragazza. «Quel cretino ti ha chiesto di farmi una piazzata? Sa quanto detesto questa cosa delle fan adoranti.»
Lei scosse la testa, respirando a singhiozzo. «N-no. Nessuna piazzata. Io…»
Un trambusto scosse le scale e il rombo della risata di Devon si propagò per la casa. Finché non trovò loro due. Rise vedendo il suo corpo pallido e bagnato gocciolare nel soggiorno. Poi però si accorse della figura minuta che gli stava di fronte e cambiò espressione. Devon Clark si fece tenero.
Tenero?
«Clari?!»
La ragazza distolse lo sguardo e lo piazzò sul suo migliore amico. Le labbra si aprirono nel sorriso più luminoso e dolce che gli fosse capitato di vedere negli ultimi anni. Forse si era sbagliato su di lei e per un secondo, uno soltanto, sentì una fitta al centro del petto mentre si allontanava. Dio, quanto voleva che tornasse indietro e guardasse
lui in quel modo. Avrebbe fatto di tutto per far sì che succedesse.

Clarissa gettò le braccia al collo di Devon e lui la fece roteare sul posto, tempestandola di domande su quando fosse arrivata e se i suoi la stessero aspettando.
«Volevo far loro una sorpresa, in realtà» lanciò un’occhiata di sbieco a Toby, che ancora emanava vibrazioni negative. Però non si era ancora mosso e lei apprezzava lo spettacolo dei suoi muscoli longilinei. Moltissimo.
«Sono in Scozia! Mamma ha in carico il restauro di Mount Stuart.»
«Sei serio!?» era una delle ville storiche più famose e lei ancora non l’aveva visitata. Poi rivide Toby e arrossì. «Forse avrei dovuto avvisare.»
«Vi siete conosciuti, vedo» Devon rise sotto i baffi e lei gli tirò un pugno sulla spalla, consapevole che quasi sicuramente doveva a lui la nudità di Toby. «Hey! Non iniziare. Sei appena arrivata.»
«Immagino sia un tuo scherzo idiota» indicò quel bendidio e si sentì avvampare ancora. Stava facendo la figura della cretina e il suo idolo di certo la detestava. «Porti ancora via i vestiti a chi fa il bagno al lago!? Cresci un po’, Dev.»
Toby borbottò qualcosa per assentire, ma non riuscì a capirlo perché lasciò la stanza in tutta fretta.
E lei non poté trattenersi. Gli guardò il fondischiena. Una gran, bella e completa radiografia del suo didietro. Archiviata come materiale con cui risollevarsi il morale nella prossima vecchiaia.
«Guardona!» tossicchiò Devon per prenderla in giro e lei gli rifilò un altro pugno. «Oh, avanti! Hai una faccia da affamata.»
Fame! Non aveva più idea di cosa fosse, non dopo essersi trovata davanti al proprio sogno proibito, in prima fila davanti a tanta bellezza. Sentì le guance andarle in fiamme. Lo aveva visto
nature! E chi se lo scordava più.
«Scemo… Potevi dirmelo che lo conosci!»
Devon parve scioccato. «Ma chi, quello!? Perché avrei dovuto?»
Fu lei a essere del tutto sconvolta adesso. Lo guardò indignata e gli puntò l’indice tra le costole. «Non so, forse perché è Toby Seddlithon!?»
«Lui… cosa?»
Il suo amico d’infanzia restò di sasso, un’espressione stralunata sul viso cesellato. E poi, con sua sorpresa, si piegò in due dalle risate.
Non solo. Devon stava
piangendo dal ridere. Letteralmente.
«Ti prego, Clari. No, ti supplico» tentò, ma non riuscì a trattenersi dal ridere ancora. «Dimmi che l’hai chiamato così.»
«Scusa?»
«
Toby Seddlithon» imitò il suo tono estasiato, asciugandosi le lacrime. «Oh, Dio! Perché non ero qui quand’è successo!?»
«Per fortuna! Già era convinto gli avessi fatto una piazzata. E che fosse una
tua idea» si costrinse a ignorare le farfalle nello stomaco al pensiero che lei fosse “proprio il suo tipo”. Oh, ma quella sua voce roca. Aveva ancora i brividi. «Che vergogna! Adesso penserà che sono una pazza.»
«No… Quando gli passerà l’incazzatura per come lo hai chiamato, gli starai simpatica. Vedrai.»
«A dirla tutta, sono incazzato a morte con te, amico.»
L’oggetto della loro conversazione tornò in salotto e Clari fissò basita la t-shirt con lo stemma di casa Targaryen che gli fasciava il busto alla perfezione. I jeans neri slavati cadevano da Dio sulle sue gambe. E i piedi… nudi!
Sui social sembrava sempre così elegante. In quel momento, invece, si trovò a fare i conti con un uomo in carne e ossa e vero sex appeal a dismisura. E non perché fosse un attore ultra famoso. Ma perché vestiva come un nerd!
Cavoli, se non ci aveva preso nel suo sogno! E anche il viso di Toby, adesso che se lo trovava di nuovo davanti con il corpo
coperto, le sembrò diverso dalle centinai di volte in cui l’aveva visto nei film e in foto. Era più marcato, con le leggere rughe agli angoli degli occhi e una piccola cicatrice bianca a segnargli il mento.
E quella quando se l’era fatta!? Non l’aveva mai vista! Forse la coprivano con il trucco.
Però… accidenti! Adesso che l’aveva notata, non riusciva a non volerla sfiorare con le dita, avanti e indietro. Proprio nel punto in cui impediva alla barba leggera di crescere. Mmm…
«Adesso che sei vestito posso fare le presentazioni. Esibizionista, lei è Clarissa, una
vecchia amica di famiglia» al sentirlo chiamarla “vecchia”, l’interessata si riscosse dall’esame approfondito e gli mollò un ceffone sulla spalla. «Ahi! Manesca, lui è…»
«Toby Seddlithon.»

Ecco fatto. Si era presentato e ora quella meraviglia tornava a concentrarsi su di lui.
Se ne fregò altamente dell’occhiataccia di Devon. Gli interessava che lei tenesse quegli occhi luminosi sul suo viso ancora per un po’. Un secondo fa lo stava studiando, quasi avesse un piccolo Wally nascosto chissà dove sulla faccia e gli era piaciuto essere l’oggetto di tanta attenzione.
Accidenti, voleva che scovasse tutti i dettagli che non avrebbe trovato nel viso sullo schermo!
Scacciò l’idea del
perché lo volesse e allungò una mano verso di lei. La vide trattenere il respiro, ma l’esitazione sfumò non appena la strinse. Un brivido gli fece accapponare la pelle per la sorpresa. Toccarla non avrebbe dovuto essere una cosa pericolosa, ma capì che con lei non sarebbe stato così.
Gli piacque. Fin troppo.
«Ti devo delle scuse» si tirò indietro, le dita cacciate nelle tasche dei pantaloni perché altrimenti l’avrebbe sfiorata di nuovo. «Ho pensato fossi complice di questo deficiente.»
«Ma bene,
Toby. Maltratta il tuo migliore amico per fare il figo, Toby
Clarissa li guardava un po’ stranita e di certo non aveva idea del perché continuasse a ripetere il suo nome. Se Devon continuava a comportarsi in quel modo, lo avrebbe ucciso.
«Dev posso portare dentro l’auto?»
La domanda della sua amica gli fece distogliere lo sguardo truce, ma non prima di avergli lanciato un nuovo avvertimento. Basta stronzate.
«Certo. Ti aiuto.»
«No, faccio da sola. Non resto molto, ma è a noleggio e non voglio rischiare di ammaccarla.»
Come!? Un momento. Non poteva già pensare di andare via. Era appena arrivata e Toby non aveva ancora avuto l’occasione di sembrare diverso da un musone irascibile. Ci teneva che quel bel visino non lo considerasse come chiunque altro. Era inspiegabile, eppure il sorriso che aveva rivolto a Devon aveva sconvolto il suo mondo.
Ne avrebbe voluti a migliaia di sorrisi del genere. E li voleva tutti per sé.
Quando Clarissa uscì per spostare l’auto nel vialetto, lui si ritrovò a respirare, ma gli mancava la sua presenza. Soprattutto perché si ritrovò addosso un Devon piuttosto seccato. Merda, avrebbe dovuto essere lui a pugnalarlo con lo sguardo. Non viceversa.
«Non una parola.»
«Ma davvero, Toby? “Non una parola”» borbottò, per fargli il verso. «Mi pare tardi.»
«Sì, lo è» si mosse verso la cucina e nel passargli accanto, gli tirò una spallata. «Chi è?»
«Un’amica di famiglia. Sai che i miei ospitavano gli studenti degli scambi culturali… Clari era una di loro. Solo che mia madre non l’ha più persa di vista dopo l’anno di studio.»
«Sembrava di casa.»
«Perché lo è» alzò le spalle con nonchalance, ma percepì lo stesso l’affetto profondo di Devon e gli diede fastidio. «È nove anni che gode del titolo di Clark onoraria. Credo che mia madre la ami.»
Mise sul fornello la teiera. Era troppo presto per la birra, ma doveva mandar giù qualcosa. Tutto pur di placare l’acido che sentì in gola nel chiedere: «Solo Hollie?»
Devon rise, quel sadico stronzo!
«Oh, anche papà. C’è stata una mezza tragedia con le peonie, ma la adora lo stesso» gli si mise accanto, la bocca stretta in un ghigno perché non riusciva a smettere di ridere. «È come una sorella per me. Una di quelle per cui minacci i tuoi amici di tenere le mani a posto.»
«Quindi siamo ancora amici?»
«Ci sentiamo di tanto in tanto, Toby, lo sai. Ma sì, sei ancora un amico.»
«E ai tuoi cosiddetti
amici non parli di tua sorella?» era irritato ma scrollò le spalle davanti al ghigno interrogativo di Devon. Lui stesso non aveva idea del perché lo fosse, quindi era inutile perdere tempo a cercare una spiegazione per l’amico. «Onoraria o no, è la prima volta che ne sento parlare.»
«Perché non ne ho mai avuto l’occasione. E non te l’avrei presentata se avessi saputo della sua ossessione per “Toby Seddlithon”» alzò gli occhi al soffitto, mimando le virgolette con le dita e Toby rise della canzonatura, come se quel nome lo rendesse un trofeo o che altro. «Avrei voluto assistere alla tua faccia, ovvio, ma non ti avrei fatto uno scherzo del genere. È da stronzi.»

L’acqua fischiò e Toby allungò il braccio dietro di sé, senza nemmeno guardare. Era abituato a compiere quel gesto e Clarissa trovò strano che, in realtà, lui e Devon si sentissero solo poche volte.
Non avrebbe dovuto origliare da dietro la porta. Ma come avrebbe potuto evitarlo? Stava rientrando quando li aveva sentiti parlare di lei e… E la particolare prospettiva che godeva sul corpo di Toby da quel punto aveva preso la decisione al posto suo. Si beò della vista ancora un po’, marchiando a fuoco nella memoria il profilo della sua splendida bocca mentre si apriva in un sorriso complice per quello che Devon gli aveva appena detto.
Oh, grande Giove! Quel gesto la uccise.
Nessun sorriso visto attraverso le telecamere e uno schermo sarebbe mai più stato abbastanza da farle battere il cuore.
Ma non poteva restare lì ferma. Sarebbe sembrata un’impedita nei parcheggi e non voleva certo dare quell’impressione. Già aveva sfiorato una moto nel portare dentro l’auto, rischiando un danno mai visto. E se fosse stata la moto di Toby?! Che figura avrebbe fatto.
Perciò raccolse il coraggio di entrare in cucina.
Per restare ferma esattamente dove si trovava nel sentire la domanda di Devon.
«Ti interessa? Perché Clari è davvero una di famiglia e non mi va di vederla soffrire.»
Addirittura!? Cioè, sì, lei avrebbe volentieri approfittato di Toby in ogni buona occasione, specie dopo aver avuto conferma di quale fosse il suo genere di ragazza, ma da lì alla sofferenza ne passavano di ere geologiche.
Eppure il suo cuore perse il ritmo nell’attesa di una sua risposta. Perché la vacanza era iniziata male, ma quello avrebbe potuto darle una svolta da capogiro.
«È solo un’altra fan senza speranza» Toby scrollò le spalle, gli occhi tempestosi fissi sulla tazza di tè nella sua mano. «Non ne vale la pena.»
“No, Maria. Io esco.”
Una piccola Tina campeggiò nel suo cervello. Ci era rimasta male, malissimo, ma non per questo avrebbe permesso a cotanto tripudio di figaggine di passarle sopra come un bulldozer. Avrebbe conservato il suo onore.
In fondo, lei aveva già dei programmi per la sua vacanza. La sosta dai Clark era stata solo un’improvvisata e aveva da fare anche a Londra.
Fece capolino nella cucina e sorrise a entrambi, specie al belloccio che l’aveva appena rimbalzata.
«Cambio di programma. Parto adesso» fece l’occhiolino a Devon e un rapido cenno a Toby. «Piacere di averti conosciuto.»
Li lasciò tutti e due di stucco. Non ci fu modo di farle cambiare idea e quando si rimise alla guida della Vauxhall, Mika riempì la campagna con la sua
Oh Girl You’re The Devil. Clari sogghignò mentre si allontanava, gli occhi inchiodati sullo specchietto retrovisore e all’espressione basita di Toby Seddlithon.
Sì, era una fan senza speranza e avrebbe sospirato lo stesso al ricordo di quella mattina, ma Clari era una per cui
ne valeva la pena! E Toby non aveva idea di cosa si sarebbe perso.
Tanto peggio per lui!

Perdonatemi! Non avendo un tema da seguire è diventato un racconto lunghissimo 😅 spero siate tutti sopravvissuti fino alla fine! Se vi va, mi farebbe piacere sapere come vi è sembrato!

Federica 💋

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Dolittle [2020]

Buongiorno e buon Lunedì 😊

Questa settimana ne approfitto per pubblicare le recensioni arretrate, quelle che sì, ci sono, ma non ho avuto tempo di pubblicarle prima… accidenti alla tesi! Si parte con uno dei miei attori preferiti.

Titolo 
Dolittle
Regia
Stephen Gaghan
Anno
2020
Genere
Avventura, commedia, fantastico
Lingua
Inglese
Paese di produzione
Stati Uniti d’America
Soggetto
Hugh Lofting
Sceneggiatura
Stephen Gaghan, John Whittington
Cast
Robert Downey Jr., Harry Collett, Antonio Banderas, Michael Sheen, Jim Broadbent, Jessie Buckley, Ralph Ineson, Kasia Smutniak, Carmel Laniado

Inghilterra, il piccolo Tommy Stubbins è a caccia e per sbaglio ferisce uno scoiattolo. Disperato, la sua richiesta di aiuto viene accolta da un pappagallino, che lo guida fino alla trasandata casa del Dottor Dolittle, medico esperto nella cura degli animali. Ma la prima impressione non è delle migliori, perché Dolittle ha smesso di essere il medico che era un tempo e anche se non rifiuta di aiutare l’animaletto ferito, è l’umano a dargli problemi. Tutti gli umani, in realtà, ma presto la sua esistenza da eremita sarà messa a repentaglio: la giovane regina Vittoria si scopre malata di un male incurabile, nessuno dei suoi medici è in grado di aiutarla e lei vuole che sia Dolittle ad aiutarla, prima che sia troppo tardi.
E Dolittle, spinto con insistenza dai suoi amici animali, “decide” di capire cosa non vada nella sovrana che ha visto crescere. La sentenza non è delle migliori, perché le resta poco da vivere e se la vuole salvare deve partire alla ricerca di un frutto introvabile, che cresce solo sull’Albero dell’Eden, situato su un’isola che non è segnata su nessuna mappa. Un’impresa impossibile, secondo il medico di corte Mudfly, ma che Dolittle è il solo a poter compiere. Quindi parte, con i suoi amici animali e… Tommy, rimasto affascinato dallo stile di vita del dottore ed è deciso a diventare il suo apprendista.
Il viaggio, ostacolato da Mudfly, li porterà a scoprire il passato di Dolittle, insieme alla perdita di sua moglie proprio alla ricerca del frutto, ma che si rivelerà essere un’avventura alla scoperta del linguaggio segreto degli animali e di una nuova, grande, amicizia.
Dolittle's Post-Credits Scene Explained | Screen RantDolittle è, ovviamente, un film per le famiglie, ma è una storia davvero carina e toccante, che diverte e insieme commuove con il dolore che permea il buon John Dolittle. La personalità di Robert Downey jr. ben si adatta al ruolo e lo rende davvero simpatico, tuttavia è impossibile non notare che, alla fine, tutti i suoi personaggi sono più o meno simili. In Dolittle si ritrovano Sherlock Holmes e anche Tony Stark, senza nessuna difficoltà a individuarli, cosa che forse rende un po’ meno interessante la mimica del personaggio rispetto al ruolo che riveste. Dolittle, infatti, è il Newt Scamander della realtà (anche se credo che J. K. Rowling si sia ispirata ai libri di Lofting per il suo Magizoologo) ed è uno spasso nel suo ruolo di veterinario! Così come lo sono Michael Sheen e Antonio Banderas (rispettivamente Mudfly e il suocero di Dolittle), che portano a far trionfare la ricerca di John e Tommy, anche se con qualche intoppo.

Se avete a che fare con dei bambini, è un film che vi super consiglio 😉 Se, invece, lo avete visto, mi farebbe sapere se vi è piaciuto!

Federica 💋

“Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie

Ciao 😊

Questa volta ritorno a parlarvi di un libro già letto e recensito, ma del quale non avevo scritto molto. Quindi, poiché l’ho riletto con estremo piacere, ne scrivo un nuovo parere!

Titolo
Dieci piccoli indiani
Titolo originale
Ten Little Niggers

Autore
Agatha Christie
Traduzione
B. della Frattina
Editore
Mondadori
Anno
2012
Anno prima edizione
1939
Genere
Giallo
Formato

Cartaceo
Pagine

230
Prezzo
8,50€
Acquisto
Amazon

Dieci persone estranee l’una all’altra sono state invitate a soggiornare in una splendida villa su un’isola, senza sapere il nome del generoso ospite. Eppure, chi per curiosità, chi per bisogno, chi per opportunità, hanno accettato l’invito. Ma non c’è il padrone di casa ad aspettarli. Trovano invece una poesia incorniciata e appesa sopra il caminetto di ciascuna camera. E una voce inumana e penetrante che li accusa di essere tutti assassini. Una trappola spietata e geniale, per gli ospiti… e per i lettori.

Dieci estranei, dieci persone diverse che nulla hanno a che vedere con gli altri, né con il misterioso proprietario dell’isola su cui sono stati invitati, ognuno con diverse ragioni, a soggiornare per una vacanza inaspettata ma che comunque tutti accettano di buon grado. Nessuno ha ben capito chi ci sia ad aspettarli, né quale ragione l’abbia spinto (o spinta) a spedire loro quel curioso invito; sta di fatto che presto si ritroveranno a convivere tutti insieme, in una villa tanto affascinante quanto misteriosamente pericolosa.

C’era qualcosa di magico in un isola: bastava quella parola ad eccitare la fantasia. Si perdeva il contatto col resto del mondo, perché un isola era un piccolo mondo a sé. Un mondo, forse, dal quale si poteva non tornare indietro.

Ad attenderli, infatti, c’è solo una coppia di vecchi domestici, anche loro da poco arrivati, e una poesia a dir poco inquietante su “dieci piccoli negretti”, che ad ogni strofa diminuiscono in numero e alla fine finiscono per essere tutti brutalmente uccisi. Un terribile e poco piacevole scherzo, o almeno così si pensa all’inizio, salvo poi ricredersi quando strani eventi e omicidi cominciano a colpire gli ospiti della villa, mandandoli all’altro mondo proprio nel modo descritto dai versi trovati nel salone. Si avvia, dunque, una caccia all’assassino ricca di mistero e quasi impossibile da risolvere, nella speranza di impedire che anche i sopravvissuti diventino le prossime vittime, in una casa che sembra non avere né segreti, né possibili nascondigli.

Se quella fosse stata una casa vecchia, con travi scricchiolanti, ombre scure negli angoli e pareti con pesanti zoccoli di legno, si sarebbe potuto percepire un senso di mistero, di imponderabile. Ma quella villa era la quintessenza della modernità. Non c’erano angoli bui, nessun pannello che potesse celare una porta segreta, la luce elettrica rischiarava ogni cosa, tutto era nuovo, ben levigato e lucente. Non c’era nulla di strano, di sospetto. Nessuna atmosfera di mistero. E proprio questa era la cosa più spaventosa.

Lo stile e l’intreccio giallo con cui Agatha Christie mette in scena i misteriosi omicidi di questi dieci personaggi rappresentano il punto di forza dell’intero romanzo, due elementi grazie quali si resta incollati alle pagine fino alla fine. Scoprire chi sia il responsabile, ma soprattutto capire perché abbia scelto queste dieci persone, è un chiodo fisso che ci accompagna fino all’ultima pagina, dove ovviamente tutto viene svelato nella più generale (almeno per me) sorpresa, rivelando un colpo di scena insospettabile e assolutamente geniale. Questo romanzo, scritto giusto ottant’anni fa, non dimostra affatto la sua età, ma sopporta lo scorrere del tempo e rivela una capacità di coinvolgere e sorprendere degna dei migliori thriller odierni. È una storia particolare, di cui non si riescono ad afferrare appieno i dettagli fino alla fine, quando tutto viene fatto combaciare in una rivelazione insospettabile, ma non per questo inverosimile. Beh, non c’è da sorprendersi, visto che stiamo parlando della Regina del giallo.

Voi conoscete, o avete mai letto, qualcosa di Agatha Christie? Fatemi sapere 😊

Alla prossima
Federica 💋

The Last Kingdom (2ª Stagione)

Ciao a tutti 😊

Oggi pubblico un po’ prima del solito, perché sono un po’ di corsa! Questa mattina, infatti, si apre l’ultima sessione d’esame e da oggi fino a metà Giugno sarò super impegnata… Ma questo non mi impedisce di lasciarvi una recensione! E si prosegue con la seconda stagione della serie tv di cui vi parlavo un paio di settimane fa.

Titolo
The Last Kingdom
Ideatori
Paul Knight
Soggetto
Le storie dei re sassoni di Bernard Cornwell
Paese
Regno Unito
Anno
2015–
Genere
Storico
Stagioni

Episodi

26
Lingua
Inglese
Cast
Alexander Dreymon, David Dawson, Tobias Santelmann, Emily Cox, Simon Kunz, Harry McEntire, Joseph Millson, Ian Hart, Thure Lindhardt, Eva Birthistle, Gerard Kearns, David Schofield, Peri Baumeister, Eliza Butterworth, Peter McDonald, Mark Rowley, Alexandre Willaume, Julia Bache-Wiig, Ole Christoffer Ertvaag, Björn Bengtsson, Christian Hillborg, Cavan Clerkin, Arnas Fedaravicius, Jeppe Beck Laursen, Toby Regbo, Millie Brady, James Northcote, Adrian Bouchet, Ewan Mitchell

Subito dopo aver aiutato Alfred a sconfiggere i danesi, il guerriero Uthred parte alla riconquista della terra natìa. Ma il giovane non ha fatto i conti con le richieste del re sassone, né con la volontà dello zio paterno di mantenere il controllo su Bebbanburg, nonostante ne abbia ottenuto il dominio con l’inganno.
Infatti, dopo aver salvato dalla schiavitù un futuro possibile alleato di Alfred e averlo aiutato a riconquistare i suoi domini, la fiducia e la lealtà di Uthred vengono tradite proprio dall’uomo che ha salvato: venduto come schiavo, viene imbarcato su una nave come rematore e non fa ritorno a casa che dopo molti mesi di navigazione. Ma Alfred ha un debito con lui ed è pronto a tutto per salvargli la vita, affidando la missione a Ragnar, un danese suo nemico ma fratello di Uthred (in realtà, figlio dell’uomo che, nella prima stagione, lo ha rapito, cresciuto e trasformato in un danese).
La seconda stagione di The Last Kingdom, partendo con questa trama e seguendone gli sviluppi successivi, vede il guerriero instancabile Uthred vacillare, sia nelle convenzioni sia nella propria professione di lealtà nei confronti di Alfred, soprattutto quando appare chiaro che quest’ultimo non si fa scrupoli nello sfruttarlo a suo piacimento, tutto pur di ottenere l’unificazione dei diversi regni anglosassoni sotto un’unica corona.
Esattamente come la prima stagione, quello che mi ha colpito di questa serie è l’attenzione verso il dettaglio storico, la resa dei protagonisti e delle vicissitudini realmente accadute loro ma plasmate seguendo una narrazione fittizia che vede al proprio centro questo finto personaggio che svolge un ruolo fondamentale per l’avverarsi della Storia, quella successione di eventi e fatti tramandata fino ad oggi. Elemento chiave è sicuramente la doppia natura di Uthred: indeciso tra il suo essere sassone o danese, quello che fa di lui un individuo a tutto tondo è la forte etica e lealtà verso gli affetti e le persone che hanno importanza per lui, portando a un livello più quotidiano e umano quegli stessi eventi che sono finiti sui libri di storia e che oggi possono sembrare un po’ più impersonali.
Caratteristiche di questo personaggio sono anche, e soprattutto, l’irruenza e l’avventatezza, due elementi che contribuiscono a plasmarne il carattere, i comportamenti e le decisioni, le quali vengono anche prese in rapporto a un altro elemento fondamentale, il fato. È questo a muovere le azioni di Uthred, finendo per legarlo sempre di più ad una storia, dei personaggi e dei momenti chiave che non sembrano conservare traccia della sua presenza ma che, proprio per questo, ne diventano dipendenti.

Devo proprio dirvelo: questa serie mi sta appassionando sempre di più! E adesso non vedo l’ora di guardare la terza stagione!! Chissà cosa succederà!

Io ora scappo all’esame! Grazie per essere stati con me 😊

A domani
Federica 💋

Robin Hood – L’origine della leggenda

Ciao!

Primo giorno di Febbraio e si parla di film! Oggi a venire a trovarci è un ladro inglese davvero famoso, nella sua versione da XXI secolo 😊

Titolo
Robin Hood – L’origine della leggenda
Titolo originale
Robin Hood

Regia
Otto Bathurst
Anno
2018
Genere
Avventura, azione
Lingua
Inglese

Paese di produzione
Stati Uniti d’America
Soggetto
Folklore inglese
Sceneggiatura
Ben Chandler, David James Kelly
Cast
Taron Egerton, Jamie Foxx, Ben Mendelsohn, Eve Hewsonm Tim Minchin, Jamie Dornan, F. Murray Abraham, Paul Anderson, Josh Herdman, Cornelius Booth, Björn Bengtsson

Robin di Loxley è un crociato immerso nella guerra in Terra Santa, ma i soprusi perpetrati dai suoi commilitoni non si confanno alla nobiltà d’animo del giovane signore. Non sopporta le ingiustizie e quando si ribella per difendere la vita di un musulmano, viene rispedito a casa, ferito e nella più totale povertà.
Ma una volta fatto ritorno in Inghilterra, nessuno di coloro che ha lasciato indietro lo sta aspettando. Tutti sono andati avanti, compresa la sua futura sposa Maryon, che adesso lavora e vive nelle miniere con il suo compagno Will, una sorta di capo del sindacato dei lavoratori.
Distrutto e senza un vero scopo nella vita, è l’intruso John (soldato musulmano che ha aiutato in guerra) a ridare un senso alla sua vita, a fornirgli una missione da seguire per aiutare le persone che abitavano sulle sue terre e che da lui dovevano essere difese. Grazie a John, inizia la doppia vita di Robin, nobile di giorno, fuorilegge di notte, nel tentativo di sovvertire l’ingiusto governo che tiene stretta l’Inghilterra.
Personalmente, mi aspettavo molto da questo film, sia perché è presente un super cast, sia perché sono una fan della storia di Robin Hood. Alte aspettative, quindi, dettate dall’impostazione un po’ modernista del film (come anche fatto con l’ultimo su Re Artù) che, dal trailer, avrebbe dovuto mettere una storia un po’ datata sotto una nuova luce. Avrebbe dovuto e forse quasi ci sarebbe riuscito, peccato che abbia perso la sostanza in favore della spettacolarità, degli effetti speciali che rendono movimentata una trama troppo moderna.
Questa nuova versione di Robin Hood, per quanto goda di ottime intenzioni, finisce per svilire i tratti più interessanti della figura mitica del nobile ladro, trasformandola in una parodia tanto del signore di Loxley, tanto quanto dei messaggi interessanti che vorrebbe promuovere. Perché, trasformando il famosissimo Little John in un musulmano di colore, il regista opera una scelta ben precisa a livello dei significati, scelta che però viene messa in secondo piano dall’enfasi, molto stereotipata, con cui si carica il personaggio di Robin per trasformarlo in un eroe.
Quindi, il teaser del film “Se non tu, chi? Se non ora, quando?”, invece di essere il leitmotiv che aiuta a trovare il protagonista del cambiamento in ogni persona esistente (dicendo che, se vogliamo, tutti possiamo opporci alle ingiustizie), finisce per pesare su Robin Hood come una condanna, attestando ancora una volta che è il protagonista bello e ricco a doversi esporre per gli altri, a dover diventare l’eroe, mentre chi li ha accompagnati durante la sua assenza, il vero uomo qualunque, viene degradato a comparsa e a nemico, tutto a scopo commerciale.
È vero, dal punto di vista del blockbuster, potrebbe essere un film passabile. Se solo fosse stato meno moderno…

E come sempre, quando parto con delle aspettative, finisco per restarne un po’ delusa. Questa volta è andata così, appagata dal punto di vista scenico (grandi effetti, ben riusciti anche) ma totalmente insoddisfatta da quello dei contenuti. Pazienza… Voi lo avete visto? Impressioni?

Nel frattempo, a Lunedì!
Federica 💋