Storytelling Chronicles #3

Buongiorno e buon Lunedì 😊

Ormai l’appuntamento con la rubrica di scrittura creativa dello Storytelling Chronicles (creata da Lara de La nicchia letteraria e con la grafica di Tania di My CreaBookish Kingdom) sta diventando fisso… e mi sa che è li sto pubblicando pure nello stesso giorno 😅Coincidenze, giuro!

Il tema questa volta è un’immagine:

E si è adattata alla perfezione al continuo di Blue Melody (scritta il mese scorso). Devo dire di essere proprio contenta di partecipare a questa “sfida”, perché mi ha permesso di riprendere in mano un’idea su cui già stavo lavorando ed è esplosa, letteralmente 😊 È diventata molto, molto, molto più articolata e complessa di quanto avessi sperato all’inizio, perciò prima di lasciarvi leggere il racconto, vi metto => qui <= i capitoli precedenti, se vi andasse di leggerli 😊altrimenti il recap qui sotto serve a contestualizzarlo (è lungo, ma è il meglio che ho saputo fare).

Durante la ricerca di alcune piante officinali, la giovane erborista Melody scampa all’attacco di un lupo grazie all’intervento di un essere sovrannaturale, metà uomo e metà lupo, insieme a un grande lupo nero. Rientrata a casa, dove aiuta la madre e la nonna a preparare medicamenti e a prendersi cura del padre infermo, la giovane tace alla propria famiglia l’accaduto, decisa a dimenticare la presenza delle due creature per non cedere alla paura dei boschi e smettere di raccogliere le piante e le erbe necessarie alla sopravvivenza del villaggio.
Diversi giorni dopo, durante gli scambi commerciali presso la bottega del macellaio, Melody riesce a ottenere un buon prezzo per la propria merce, fatta salva la promessa di portarne altra entro sera. Ciò che cerca sono le erbe tardive, le cui foglie aiutano a ridurre il consumo di cibo durante i mesi invernali, necessarie a causa dei razionamenti delle provviste cui andranno incontro. Perché è proibito inoltrarsi nei boschi che circondano il villaggio, persino per cacciare; infestata da lupi che nessuno riesce a debellare, la foresta è un luogo ostile, che tuttavia Melody conosce alla perfezione e nella quale riesce a fare scorta di erbe prima che tramonti il sole.
Rientrata dai cancelli del villaggio, dopo l’ennesimo scontro verbale con il capitano delle guardie, consegna la merce al macellaio ma vi trova anche una misteriosa pelliccia di lupo grigio. Riconosciuta come quella del predatore che l’ha attaccata, scopre che è stato un cacciatore appena uscito dalla bottega a barattarla, insieme alla carne di lupo, il solo che riesca a vivere in mezzo ai boschi senza essere sbranato dalle bestie feroci. Benché dovrebbe tenere segrete la sue uscite, Melody decide lo stesso di affrontare l’uomo che, dapprima restio, si offre di rispondere alle sue domande in cambio di un rimedio per le ferite che contenga anche le radici delle erbe tardive, di norma urticanti.
Nel pieno delle preparazioni dei rimedi con la sua famiglia, tuttavia, una ragazza del villaggio viene trovata morta, sbranata dai lupi. Sotto un rigido coprifuoco, le uscite di Melody si fanno rare per non fornire alle guardie una ragione per arrestarla, eventualità che il loro capitano aspetta con ansia, finché queste non irrompono a casa. Una denuncia anonima contro di lei è quanto basta per ordinare la distruzione delle scorte raccolte e per farla arrestare. Decisa ad evitare di passare un mese a disposizione del capitano in una prigione, Melody sceglie l’esilio, stabilendosi nella casa della nonna al limitare della foresta nonostante il pericolo dei lupi.
Rimasta senza erbe e a corto di tempo prima dell’arrivo dell’inverno, la giovane si vede costretta a cambiare i termini del proprio accordo con il cacciatore. Gli fornirà quanto chiesto e parte dei guadagni ottenuti dal baratto dei medicamenti se le farà da guida nella foresta, in quanto lui è il solo che la conosca bene quanto lei, se non meglio. Il cacciatore, benché minacciato di ostracismo dal capitano delle guardie, accetta.

E ora la storia!

Il foglio di carta ammorbidito dall’umidità si scurisce nei tratti che traccio a carboncino. La nebbia di questa mattina si sta diradando con il passare delle ore, rendendomi più facile scorgere i dettagli principali di questa zona della foresta. È uno schizzo rudimentale dell’ansa del fiume, delle rocce alte e immense che la circondano, però basterà come appunto per la nuova mappa che sto costruendo.
Da quando ho iniziato a tracciarne le prime forme, più a memoria che altro, è stato chiaro che mi serviranno mesi per completarne solo la metà di quella che le guardie hanno bruciato. Non ho tutto questo tempo, però, e anche se ho saputo che la nonna sta cercando di disegnarne una a sua volta, io cerco di ricostruirne più porzioni possibili, approfittando di ogni momento libero.
Non che ne abbia mai. Tra la ricerca di nuove scorte e il prendermi cura di quelle che già sono in lavorazione, le mie giornate sono scandite da ritmi troppo serrati per trasgredire.
Guardo verso sud-est, dove emerge appena il profilo del lago Nero, il grande bacino che permette di irrigare i campi coltivati del villaggio e oltre il quale si estende un tratto selvaggio mai esplorato dalla mia famiglia. Traccio ciò che vedo sulla carta, soffermandomi più sulla forma generale che sui dettagli. Li aggiusterò in seguito, passando in rassegna ciò che mi è sfuggito nel viaggio di ritorno.
Non mi ha entusiasmata l’idea di venire da questo lato della foresta, ma il cacciatore è stato di tutt’altro avviso all’alba di oggi, proprio come nelle scorse mattine. Negli ultimi tre giorni mi ha mostrato porzioni di foresta che non avrei mai considerato, nelle quali nemmeno io mi sarei mai spinta. Tutte troppo lontane o delle quali non conoscevo l’esistenza, né i pericoli, che con lui ho attraversato e iniziato a catalogare.
Ho sempre saputo che la conformazione dei boschi fosse diversa da quel cha appariva sulla nostra mappa. Abbiamo una buona conoscenza del territorio, ma è parziale e frammentaria. Nessuno si è mai spinto oltre il lago Nero.
Soltanto io.
Frugo nella borsa con la mano libera, gli occhi fissi sulla foresta per non dimenticare il punto cui sono arrivata. La striscia di carne essiccata è facile da trovare. La porto alle labbra, addentandola e tenendola stretta tra i denti quando ricomincio a tenere il foglio e a tracciare la linea sinuosa dell’ansa del fiume. La tranquillità è assoluta, mi permette di restare concentrata anche se so che c’è un intero branco di lupi nascosto chissà dove, in attesa che cali il buio per uscire a caccia.
«L’ansa è più estesa.»
Mi chino di soprassalto, le dita strette attorno al manico del pugnale. Ma è solo il cacciatore e mi rilasso quando lo vedo passarmi accanto per abbandonare a terra la propria borsa. Quando si è allontanato per controllare alcune trappole era vuota; adesso il tessuto è teso e gonfio, pieno di prede.
Il suo cane lo segue a ruota, sdraiandosi accanto al bottino quasi a fare da guardia. Il muso longilineo posa sulle zampe incrociate, ma sono i suoi occhi quelli che non mancano di stupirmi. È soltanto un animale, eppure rivelano un’intelligenza fuori dal comune, come non ne ho mai vista nemmeno in certi miei simili. Ogni volta che incrocio quegli occhi, lo sento studiarmi, soppesarmi nel più profondo dell’anima, come se stesse decidendo se fidarsi di me.
Come adesso.
Il martellio del mio cuore si fa assordante sotto davanti al suo sguardo. Non è la prima volta che accade. Negli scorsi giorni, nei pochi momenti di sosta che il cacciatore mi ha concesso, ho osservato spesso quell’animale, senza una vera ragione. È stato per istinto, quasi ci sia qualcosa in lui che spinge a far gravitare lo sguardo su di sé. Esercita un magnetismo difficile da definire, eppure quando i miei occhi incrociano i suoi, non posso sostenerli a lungo.
Proprio per questo li riporto sul paesaggio e poi sul mio schizzo, i pensieri offuscati che cercano di ricordare cosa abbia detto il cacciatore. Ha parlato del fiume, di qualcosa di più esteso.
L’ansa.
«Da qui non sembra» metto via il pezzo di carne, l’unico gesto che mi permette di ritrovare la calma. «Arriva a quei faggi laggiù, poi ruota in direzione del villaggio.»
Il cacciatore nega, le braccia serrate al petto e uno sguardo di sufficienza puntato sulle linee a carboncino.
«Hai una buona mano, erborista, ma no, l’ansa è più estesa. Devi essere precisa con le mappe.»
«Lo sono. E non chiamarmi in quel modo.»
Le mie parole suonano secche nella pacifica quiete della foresta, affilate come artigli.
«Erborista?» chiede, una nota incredula a storcere l’innocenza della domanda. «È ciò che sei.»
«Sì. Ma non usarlo» ripeto, alzandomi per guardarlo dritto negli occhi. «Melody può andare.»
Il cacciatore mi soppesa, un secondo troppo esteso nella sua immobilità per essere reale. C’è desiderio di comprensione nelle sue iridi castane, un tremolio profondo di aspettativa che toglie il fiato. Si aspetta qualcosa da me, una qualsiasi rivelazione che temo di non volergli fornire; i suoi occhi chiedono un permesso alla mia anima e ho terrore di scoprire che cosa implichi.
«Concedi troppo potere al capitano delle guardie. È solo un uomo, non un dio.»
Stringo i pugni, il carboncino che si spezza tra le dita. «Io non gli concedo nulla.»
«Erborista» il mio corpo ha un fremito e lui annuisce. «Questo è il potere che ha su di te. Il tuo titolo è la sua arma per controllati. Non dovresti permetterglielo.»
Conb mi ha portato via quasi tutto ciò che possedevo, ma non ha potere su di me. Non deve averne. L’unica reazione che mi provoca è l’odio. E il ribrezzo, per ogni volta in cui ha osata toccare mia madre senza che lo sapessi.
«Non è così. E la mia vita non è affar tuo.»
«Lo è, da quando abbiamo un accordo» serra la mascella con forza, quasi infastidito dalla situazione. Poi rivolge un cenno al proprio cane, che si alza docile. «Ho altre trappole da controllare. Poi potremo proseguire.»
Si inoltrano lungo la curva del sentiero, la figura slanciata dell’uomo affiancata da quella massiccia dell’animale. La luce del sole taglia le fronde verdi e piove su di loro, lunghe lame dorate che giocano sui loro corpi per disegnare valli oscure e oceani dorati. Sentieri lucenti fatti di stoffa e pelliccia rivestono i muscoli, conducono alle ombre calate sui loro visi e le fanno emergere a nuova vita, mentre il baluginio del sole li accompagna nel loro cammino.
Appaiono eterei, creature fuori dal tempo e lontane da ciò che gli uomini hanno conosciuto in secoli di esistenza. Sono fantasmi emersi dalle profondità della foresta e quando il cacciatore esita, trattengo il respiro. Quasi avesse sentito il peso dei miei occhi su di sé, lui resta immobile sulla strada battuta, incerto se voltarsi a guardarmi o ignorare la mia presenza. Il capo si muove appena, di lui si vede solo un’ombra dove dovrebbe trovarsi il suo profilo. Eppure io lo percepisco, quello sguardo intenso che nasconde a chiunque si trovi davanti e che ancora non sono riuscita a decifrare. Non mi guarda dritta in viso, eppure mi studia, con la stessa attenzione che gli ho riservato io.
Un singolo frammento di tempo, sospeso nel nulla; ma l’indecisione non dura che l’anfratto di un respiro, un battito di ciglia così fugace da credere di averlo soltanto immaginato. L’oscurità torna ad avvolgere quel viso, finché entrambi non scompaiono alla mia vista.
Potrei aver sognato, sconfitta dai giochi di luce che fanno tremare la foresta e la mia percezione. Ma un’illusione può sciogliere le briglie del respiro e indurlo a correre senza freni? Può risvegliare ansiti rapidi quanto i battiti impazziti di un cuore? Potrebbe, ma il peso di quell’istante è troppo grande per credere che non sia mai accaduto.
Ma non è il cacciatore il solo responsabile. Il mio respiro vacilla perché un ricordo sepolto lotta per risvegliarsi, feroce nel mostrarmi un altro uomo avvolto in un mantello di raggi di sole, primaverili quella volta, e su un sentiero lontano miglia da qui.
È mio padre, il giorno in cui la sua vita si è spezzata. Il giorno in cui abbiamo cominciato a considerare i lupi una minaccia.
Prima della malattia, prima dei confini e della paura, era lui a scandagliare i boschi alla ricerca di piante e cortecce. Cacciava per noi e spesso mi portava con sé per insegnarmi ciò che negli anni mi avrebbe più volte salvato la vita. Per mio padre, la foresta doveva divenire parte della mia anima, perché solo così avrei potuto riconoscerne le voci. Ma non quel giorno.
Mi lasciò a casa. Si sarebbe spinto troppo vicino al Lago del Predatore e una bambina non era adatta per quelle zone impervie. Ero una preda troppo facile per i lupi e mi lasciò dalla nonna, dopo aver discusso con lei e mia madre mentre lui mi avrebbe voluta con sé. Quando, più tardi nella notte, le guardie lo riportarono al villaggio con le fauci dei lupi impresse sul corpo, ricordo che nonna fu grata mi avesse lasciata indietro.
Pianse e ancora rimpiange la tragedia che lo ha menomato nel fisico e nella mente, ma negli anni non ha mai cessato di ripetere quanta fortuna abbia avuto nell’essere rimasta a casa. Non ho motivo di dubitarne; quelle ore sono avvolte nel dolore e nel terrore di aver visto mio padre ridotto all’ombra di se stesso. Non ricordavo di essere con lui perché è così. Io rimasi al villaggio.
Melody.
La sua voce è un sussurro nel vento, una carezza che balla nei raggi di un sole traditore e mi inganna ancora. Perché lo vedo come se accadesse adesso, davanti ai miei occhi fissi su una strada deserta.
Melody, forza. Tieni il passo.
Lo ripeteva spesso. Ero sempre troppo lenta, troppo goffa, per tenere la sua andatura. Ma dovevo andare con lui, era importante che imparassi presto i suoi segreti. Era esigente, lo ricordo molto bene. A volte così esigente da contravvenire al buonsenso.
Guardo di nuovo il sentiero. I raggi di sole attraversano ancora le fronde, pugnali di luce sulla strada battuta che fanno della mia memoria un puntaspilli. Il sangue ronza nelle orecchie, un fiume rapido che attraversa gli anni e riporta alla luce suoni dispersi, odori di un bosco antico che a quel tempo non avrei saputo riconoscere. Oggi sì, li vedo per quel che sono.
Quel giorno non rimasi al villaggio.
Mio padre mi portò con sé perché così aveva deciso. Ma io ero piccola, stanca per una marcia che ancora non avevo la forza di terminare. Mi persi, tornai indietro, o almeno credo sia ciò che accadde, perché ero in casa quando lo trovarono.
Trovo l’appoggio di un tronco, sopraffatta dal peso di ricordi che non credevo d’avere, e lascio vagare la mente a quel giorno. Ero con lui, eppure non ricordo nulla a parte quel momento, l’istante in cui si voltò per spronarmi a raggiungerlo. È così chiaro adesso; è una candela che brilla tra i miei pensieri e fatico a credere di non averne avuto memoria fino a questo momento.
Se non avessi guardato verso il cacciatore, se non lo avessi osservato allontanarsi, quel giorno sarebbe ancora sepolto tra gli attimi dimenticati dell’esistenza. Ma non è solo questa consapevolezza a soffiare una nebbia gelata sulle mie ossa. È il volto del cacciatore, sconosciuto fino a pochi giorni or sono, perché è anche lui che ricordo.
No, non lui. Qualcosa di molto simile galleggia sulla superficie dei miei ricordi, un aspetto che il cacciatore mi ha rammentato con vividezza ma che non gli appartiene. L’uomo-lupo, ecco cos’è che tormenta la mia pace oltre a mio padre.
Quella maschera è l’incubo a occhi aperti che mormora una melodia seducente e antica; il bisbiglio dei boschi che ho sempre udito e che mai prima di quel giorno ha avuto un volto. Era solo una sensazione. Ora non può esserlo più.
Ha corpo e voce. Ha una forma. E io devo trovarle un nome.
Perché non ero sola quel giorno. Dietro ai raggi di sole che mi hanno separata da mio padre, acquattato tra le fronde, mi stava aspettando anche quel lupo cattivo.

Spero vi sia piaciuto e che, anche se non esaustivi, i chiarimenti e i dettagli bastino a rendere il racconto comprensibile. Tra l’altro, ho idea che sarà proprio una rivisitazione di Cappuccetto Rosso 😅 per qualunque cosa, vi aspetto nei commenti, se vi va!

Federica 💋

#ioleggoacasa

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Un cavaliere per Natale

Buongiorno e buon inizio settimana!

Quest’anno sul blog c’è stato poco Spirito Natalizio, io stessa ho avuto poco tempo per guardare e leggere opere a tema, ma qualcosina sono riuscita a recuperare! Oggi tocca a un film aprire le danze, ma non ne sono rimasta entusiasta…

Titolo
Un cavaliere per Natale
Titolo originale
A Knight Before Christmas

Regia
Monika Mitchell
Anno
2019
Genere
Romantico, sentimentale, natalizio
Lingua
Inglese

Paese di produzione
Stati Uniti d’America
Soggetto
Cara J. Russell
Sceneggiatura
Cara J. Russell
Cast
Vanessa Hudgens, Josh Whitehouse, Emmanuelle Chriqui, Harry Jarvis, Ella Kenion, Mimi Gianopulos, Jacob Soley, Andrea Senior, Simon Webster

Sir Cole, cavaliere nell’anno 1333, poco prima di Natale partecipa alla classica caccia al falchetto indetta dal suo signore, prima che suo fratello minore riceva l’investitura da cavaliere. Ma mentre ne cerca le tracce nei boschi, si imbatte in una vecchietta dalle intenzioni alquanto discutibili, una strega che spedisce questo prode cavaliere alla ricerca della propria impresa… nel 2019!
18 Dicembre 2019, in Ohio l’insegnante di scienze Brooke ha smesso di credere in due cose: nell’arrivo del principe azzurro e nella magia del Natale, perché la vita non è stata molto clemente con lei sotto quegli aspetti. Ma nonostante tutto, cerca di portare un po’ di spirito natalizio nella vita della nipotina ed è proprio mentre è in visita al villaggio di Natale che incontra quest’incredibile ragazzo vestito da cavaliere medievale e… lo prende in pieno con la macchina! Convinta che soffra di una momentanea amnesia a causa della botta in testa, la stessa che gli fa credere di essere un cavaliere, Brooke si sente in dovere di ospitarlo nella dépendance invece di lasciarlo nella stazione di polizia da solo. Ma l’ospitalità si estende e mentre lei inizia a credere all’assurda storia di Cole, i due si avvicinano sempre di più, nel tentativo di aiuta Cole a compiere la propria impresa e tornare finalmente a casa.
Un cavaliere per Natale è una commedia romantica a tema natalizio che sarebbe anche carina, se non giocasse così tanto e in modo eccessivo sugli stereotipi del genere, nonché sulla precedente produzione natalizia (e non) di casa Netflix e dei suoi sponsor commerciali. A partire dalla “vecchia strega” che getta Cole nel XXI secolo, nel quale riesce peraltro a integrarsi in tempo zero, senza urlare ogni tre per due “Stregoneria” o menare fendenti su auto e aggeggi tecnologici, fino ad arrivare alle varie dinamiche tra i due, il savoir-faire medievale presentato nel film trasuda tutta la sdolcinatezza e l’inverosimiglianza di una commedia romantica di non così elevate vette. Perché dai, diciamocelo, se un uomo del medioevo fosse finito investito da una donna primo, avrebbe ammaccato il cofano con la spada cercando di uccidere la bestia, e secondo, avrebbe cercato di trascinare tutti i presenti su un bel falò scoppiettante perché indubbi esseri demoniaci… E poi, con tutto il rispetto, non sarebbe stato così fine e ammodo com’è Sir Cole! Ecco, diciamo che è la versione patinata e tirata a lucido di un cavaliere, frutto di una rivisitazione in chiave idilliaca del passato e per la quale dobbiamo ringraziare l’Ottocento e i Romantici. Vorrei un Sir Cole tutto mio? Ovvio. È realistico? Ovvio che no.
E qui il film si ricorda di essere a Natale e ritrova un attimo di verve, mostrando un po’ di bontà e spirito natalizio che prima ho sentito proprio poco. Ricorda anche che a Natale tutto è possibile, persino viaggia nel tempo.

Diciamo che Netflix quest’anno ha puntato sull’autopromozione ma sulla qualità… ni, poteva fare di meglio! Magari gli altri film sono meglio di questo. Voi ne avete visto qualcuno? Consigli su come rimediare e risollevare il Natale?

Fatemi sapere!
Federica 💋

Robin Hood – L’origine della leggenda

Ciao!

Primo giorno di Febbraio e si parla di film! Oggi a venire a trovarci è un ladro inglese davvero famoso, nella sua versione da XXI secolo 😊

Titolo
Robin Hood – L’origine della leggenda
Titolo originale
Robin Hood

Regia
Otto Bathurst
Anno
2018
Genere
Avventura, azione
Lingua
Inglese

Paese di produzione
Stati Uniti d’America
Soggetto
Folklore inglese
Sceneggiatura
Ben Chandler, David James Kelly
Cast
Taron Egerton, Jamie Foxx, Ben Mendelsohn, Eve Hewsonm Tim Minchin, Jamie Dornan, F. Murray Abraham, Paul Anderson, Josh Herdman, Cornelius Booth, Björn Bengtsson

Robin di Loxley è un crociato immerso nella guerra in Terra Santa, ma i soprusi perpetrati dai suoi commilitoni non si confanno alla nobiltà d’animo del giovane signore. Non sopporta le ingiustizie e quando si ribella per difendere la vita di un musulmano, viene rispedito a casa, ferito e nella più totale povertà.
Ma una volta fatto ritorno in Inghilterra, nessuno di coloro che ha lasciato indietro lo sta aspettando. Tutti sono andati avanti, compresa la sua futura sposa Maryon, che adesso lavora e vive nelle miniere con il suo compagno Will, una sorta di capo del sindacato dei lavoratori.
Distrutto e senza un vero scopo nella vita, è l’intruso John (soldato musulmano che ha aiutato in guerra) a ridare un senso alla sua vita, a fornirgli una missione da seguire per aiutare le persone che abitavano sulle sue terre e che da lui dovevano essere difese. Grazie a John, inizia la doppia vita di Robin, nobile di giorno, fuorilegge di notte, nel tentativo di sovvertire l’ingiusto governo che tiene stretta l’Inghilterra.
Personalmente, mi aspettavo molto da questo film, sia perché è presente un super cast, sia perché sono una fan della storia di Robin Hood. Alte aspettative, quindi, dettate dall’impostazione un po’ modernista del film (come anche fatto con l’ultimo su Re Artù) che, dal trailer, avrebbe dovuto mettere una storia un po’ datata sotto una nuova luce. Avrebbe dovuto e forse quasi ci sarebbe riuscito, peccato che abbia perso la sostanza in favore della spettacolarità, degli effetti speciali che rendono movimentata una trama troppo moderna.
Questa nuova versione di Robin Hood, per quanto goda di ottime intenzioni, finisce per svilire i tratti più interessanti della figura mitica del nobile ladro, trasformandola in una parodia tanto del signore di Loxley, tanto quanto dei messaggi interessanti che vorrebbe promuovere. Perché, trasformando il famosissimo Little John in un musulmano di colore, il regista opera una scelta ben precisa a livello dei significati, scelta che però viene messa in secondo piano dall’enfasi, molto stereotipata, con cui si carica il personaggio di Robin per trasformarlo in un eroe.
Quindi, il teaser del film “Se non tu, chi? Se non ora, quando?”, invece di essere il leitmotiv che aiuta a trovare il protagonista del cambiamento in ogni persona esistente (dicendo che, se vogliamo, tutti possiamo opporci alle ingiustizie), finisce per pesare su Robin Hood come una condanna, attestando ancora una volta che è il protagonista bello e ricco a doversi esporre per gli altri, a dover diventare l’eroe, mentre chi li ha accompagnati durante la sua assenza, il vero uomo qualunque, viene degradato a comparsa e a nemico, tutto a scopo commerciale.
È vero, dal punto di vista del blockbuster, potrebbe essere un film passabile. Se solo fosse stato meno moderno…

E come sempre, quando parto con delle aspettative, finisco per restarne un po’ delusa. Questa volta è andata così, appagata dal punto di vista scenico (grandi effetti, ben riusciti anche) ma totalmente insoddisfatta da quello dei contenuti. Pazienza… Voi lo avete visto? Impressioni?

Nel frattempo, a Lunedì!
Federica 💋

Una nuova saga: Rebel Queen [8° Regno]

Buongiorno 😊

Eccoci di nuovo a scoprire il mondo di Rebel Queen (cliccateci sopra e trovate i post precedenti 😉)!

Questa volta andiamo a conoscere il Regno di O’ti Dres!

Nato come protettorato del Regno di Eris, la storia di questo piccolo reame è quella più legata agli eventi e alla diatriba nata tra Dres e Vestalia, ma risalenti ai sovrani  che l’hanno preceduta. Conosciuto in origine come Protettorato di Sangris, fu costituito come regno all’ascesa al trono di Eris di re Yas e della regina Odeanna (i genitori di Vestalia), su concessione del precedente sovrano come risarcimento per la crisi diplomatica scoppiata tra le due città (Eris e Sangris) a causa di un torto perpetrato ai danni di Dres, figlio dell’allora governatore. Divenuto re, Dres cambiò nome alla capitale e, dopo aver conquistato Eris, ne ha affidato il governo alla sorella, Olissa ‘Na.Situato ai margini della grande distesa coltivata di Eris, questo regno rappresenta il cuscinetto attraverso il quale Dres controlla i propri territori e quelli alle dipendenze della Fortezza, assicurandosi che Vestalia resti isolata e mantenga gli accordi di pace presi. I maggiori introiti derivano dalle imprese navali, che fanno di O’ti Dres il regno con il maggior controllo dei mari, e dal Tempio Sacro costruito tra i bassi picchi a est della capitale, luogo dedicato alla dea Liodres.
A governare, benché alle dipendenze di Dres, è Olissa ‘Na, sorella minore dell’usurpatore e famosa per aver preso parte alla guerra di conquista di Eris direttamente in prima linea, partecipazione che, tuttavia, l’ha anche privata di entrambe le gambe. Benché menomata, detiene il controllo del regno con il pugno di ferro ed è a lei che si deve la concessione all’esercizio della schiavitù, sia a O’ti Dres, sia nei regni di Eris e Astrea.

Un regno piccolo eppure impegnativo, ma mai quanto il prossimo. Ne manca solo uno e sarà… Eris!

Con Rebel Queen ci risentiamo venerdì prossimo!

A Lunedì
Federica 💋

 

Una nuova saga: Rebel Queen [7° Regno]

Buongiorno 😊

È Venerdì e, as usual, facciamo una capatina nel mondo di Rebel Queen (cliccateci sopra e trovate i post delle scorse settimane 😉)!

Oggi vi porto nel Regno di Astrea!

Situati tra la catena montuosa del Tur’denna e la foresta impenetrabile del Regno di Bermit, i territori che compongono il Regno di Astrea sono quelli economicamente più floridi, favoriti da una conformazione geografica che rende le zone costiere e nei pressi del grande lago Obelly ricche di fauna e quelle più interne, compreso il grande pianoro a nord-est, molte redditizie dal punto di vista delle coltivazioni. Questo si deve ai venti che, incanalati dalle due coste rocciose del regno (il Tur’denna a est, una piccola catena di monti a nord-ovest), mantengono il clima temperato soffiando ad intensità moderate, prima di acquistare intensità e sferzare i territori del Regno di Ventis.
Grazie alle ricchezze possedute, Astrea è il secondo reame più ricco (dopo Eris) e, oltre alla capitale omonima, presenta altre cinque grandi città: Karas, la più vicina alla capitale, ne rappresenta una zona abitativa satellite, dove vengono smistate e conservate parte delle merci destinate ad Astrea, e dove risiede l’accademia dell’esercito astreano; Teria, chiamata la signora del lago, dove risiedono i maggiori centri del commercio relativo a Obelly; Seatop e Amantis, città gemelle situate sui lati opposti della foce del fiume, dove hanno sede le attività marittime e la flotta del regno; infine, Vores, centro del conio, eretto sopra la vena aurifera che si sviluppa maggiormente verso il regno di Bermit.
Ad Astrea risiedono Lion e Adastra Tur’De, fratello e sorella gemelli, nonché cugini diretti di Vestalia da parte di padre. Saliti al trono durante la conquista di Eris da parte di Dres e schieratisi a suo favore sin da subito, sono entrambi al potere come re e regina e continuano a sostenere Dres nella contesa che lo oppone a Vestalia, a causa di vecchi dissapori e invidie con la cugina. Il loro è il Regno dove meno si professano i culti per gli Onnissai, fatta eccezione per quelli dedicati a Synon, i quali prevedono riti legati alla sessualità risalenti ai tempi degli Antichi Conquistatori (i primi colonizzatori di quelle terre) e che si dice conducano spesso a orge, diffondendo l’immagine di un regno incline alla lussuria e alla perversione.
Nella capitale, inoltre, è presente una delle tre sedi del Karetresta, la gilda di cacciatori di taglie cui è necessario appartenere per svolgere tale mansione. Le alt
re sono a O’ti Dres e Eris.

Eccoci alla fine del nostro soggiorno ad Astrea! Prima di andare, però, vi ricordo ancora del post speciale di fine mese! Chiedetemi tutto ciò che volete sapere!

A presto
Federica 💋