Lost somewhere – Capitolo 4

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Quella non era la prima volta, e quasi sicuramente non sarebbe stata l’ultima, che abbandonava tutto e tutti senza avvisare o dare spiegazioni. Si era sempre preoccupata delle implicazioni e delle conseguenze che potesse avere un lavoro come il suo su un tipo di vita stabile, o che cercava di essere stabile, dunque si era sempre tenuta pronta per una possibile fuga ed era preparata all’idea di cambiare città, nome e passato per sopravvivere da qualche altra parte. Con il passare degli anni era diventata una routine, che aveva smesso di pesarle non appena si era accorta che quello era il solo modo che le consentiva di restare in vita il tempo sufficiente per racimolare un po’ di soldi e scegliere la meta successiva del viaggio.

Per un mese, però, si era illusa che forse quella città sarebbe potuta diventare un punto fisso nella sua esistenza; era il posto in cui aveva passato più tempo e in quei tre anni le aveva permesso di lavorare senza pensare a cosa sarebbe successo dopo, senza preoccuparsi del tempo le restava prima di essere obbligata ad andarsene. Alla fine, anche quell’illusione era scivolata via e non le era rimasto altro da fare che riprendere la vecchia abitudine, l’unica che non l’avrebbe mai tradita.

Tuttavia, contrariamente a quanto faceva di solito, non si precipitò a casa per fare raccogliere le sue cose e volatilizzarsi nel minor tempo possibile, ma rimase nascosta per più di un’ora in un vicolo dalla parte opposta della strada su cui si affacciava il suo palazzo, tenendo d’occhio l’ingresso e le finestre del suo appartamento al terzo piano. Era certa che qualcuno quella volta sarebbe venuto a prenderla e se così fosse stato, non era sua intenzione farsi trovare. Rimase immobile in quel vicolo per un’ora buona, chiedendosi quando fosse il caso di abbassare la guardia e seguire il resto del piano come era abituata a fare, però poi si disse che era meglio fare in fretta e andarsene per sempre da quella città. Non si era mai trovata in un casino serio come quello e benché non avesse idea di chi fosse in realtà il dissidente turco o di cosa potesse farle, sapeva che lui e tutti gli altri erano da evitare come la peste se volevi restare vivo dopo che il lavoro era stato scoperto.

Forse perché era notte fonda o forse perché aveva ben altre preoccupazioni in quel preciso istante, ma entrando nel palazzo non avvertì niente, la pelle non le divenne elettrica e l’impressione di essere osservata al microscopio non tornò a tormentarla mentre attraversava l’atrio. Non vide nemmeno filtrare la luce da sotto la porta dell’inquilino al piano terra, quella del disimpegno che faceva da ingresso prima dell’appartamento e che veniva lasciata sempre accesa. Non si soffermò a pensare quanto fosse insolito tutto quello, ma si diresse verso il suo appartamento, vi entrò e si precipitò direttamente in camera. La valigia e le borse erano sotto il letto, già riempite di vestiti e di quello che le interessava portarsi dietro. Quella vecchia abitudine era difficile da cancellare e nonostante avesse ben due armadi, aveva sempre trovato più comodo lasciare le sue cose dove avrebbe potuto trovarle e impacchettarle velocemente. Ribaltò il materasso e la rete sul pavimento, afferrò tutto quello che vi aveva nascosto sotto e lo trascinò in salotto. Fece un rapido giro della stanza, in bagno e in infine in cucina per controllare che non fosse rimasto nulla di suo, niente che potesse ricondurre a lei.

Le restavano da prendere solo i soldi racimolati in quei tre anni e i documenti, poi sarebbe sparita per rinascere da qualche altra parte con un nuovo nome e una storia diversa. Stava aprendo la scatola dove aveva nascosto tutto quando iniziò a suonare il telefono; due squilli e poi partì la segreteria. Sorpresa, sentì la voce del suo capo dirle che i clienti erano stati da lui per pagarlo e dirgli quanto avevano apprezzato il suo lavoro, che ne avevano altri da farle fare e che la paga era decisamente buona, meglio di quella di un intero mese del suo attuale impiego. La voce dall’altro lato del telefono era euforica; il suo capo doveva aver ricevuto degli incentivi pesanti per far sì che lei accettasse quell’extra, perché in quel momento faticava a non scoppiare in una risata isterica ogni due parole e perché la pregava di richiamarlo non appena fosse rientrata per decidere quando incontrarsi e darle la sua parte dei soldi. Era brava a capire quando qualcosa si metteva male e ascoltando il suo capo si accorse che non stava mentendo e che i clienti avevano ottenuto ciò che volevano, quindi il turco non aveva detto nulla su di lei e non avrebbero mandato nessuno a prenderla. Per un secondo si sentì più tranquilla e anche la fretta con cui aveva deciso di sparire si fece meno insistente; tuttavia pensò che non le era concesso correre dei rischi tanto stupidi come quello di restare e fingere che nulla fosse successo, perciò avrebbe dovuto continuare con quello che stava facendo. Era sempre stato così per lei e poiché la fortuna l’aveva sin dall’inizio messa di fronte a delle pessime opportunità, non poteva fare altro che continuare a seguire la corrente e osservare dove l’avrebbe portata quella volta, sperando solo che non andasse peggio di prima.

Prese il denaro sufficiente per comprare un biglietto del treno e mise il resto in una delle borse; controllò uno per uno i documenti falsi che si era fatta fare mesi prima e scelse quello con la foto che più assomigliava al suo aspetto in quel momento. Era anche quello in cui il mese e l’anno di nascita si avvicinavano di più a quelli reali, dunque non avrebbe fatto fatica a far credere a chiunque che fosse quella persona.

Stava infilando soldi e documento nella tasca della giacca quando le sembrò di sentire uno scricchiolio di troppo sopra la voce del suo capo; non proveniva dalla segreteria telefonica, ma dal pavimento del suo appartamento. Prima di decidere che avesse ragione e dirsi che avevano davvero mandato qualcuno per sistemarla, aspettò di sentire lo stesso rumore una seconda volta. La prima poteva essere anche una cosa normale in un palazzo vecchio e messo male, ma se accadeva di nuovo doveva iniziare a pensare a come difendersi e scappare. Non dovette aspettare a lungo, perché mentre suo capo le diceva quanto fosse grato di aver trovato una come lei, un cigolio ne coprì la voce.

Si allontanò dal bancone della cucina, lasciando lì tutto quello che aveva tolto dalla scatola e che non era riuscita a sistemare nelle borse, e si appiattì contro la parete nascosta dietro la porta semi-aperta; aveva solo un’arma con sé ed era la sciarpa che portava attorno al collo in quel momento. Se la tolse e attese che chiunque fosse entrato nel suo appartamento si facesse vivo in cucina.

Era una fortuna che alcune assi del pavimento scricchiolassero perché non appena la voce del suo capo scomparve, l’intruso non ebbe modo più di nascondersi e ci volle poco affinché quella presenza assumesse le sembianze di una donna bionda, alta e slanciata. Era certamente stata mandata per ucciderla, quindi non vedeva motivo di andarci piano con lei. Aspettò che si trovasse esattamente di fronte a lei e poi le si scagliò contro, avvolgendole la sciarpa attorno al collo e iniziando a stringere. La reazione dell’altra fu altrettanto repentina: mentre alzava un piede verso il mobile e lo usava per spingersi indietro, allungò le mani verso di lei per cercare di allentare la presa. Ci riuscì e la ragazza si trovò schiacciata contro il tavolo dal corpo della sconosciuta, che senza perdere tempo le rifilò una gomitata nel fianco. Rimase senza fiato e tutto ciò che poté fare fu lasciare andare le estremità della sciarpa; la donna ne approfittò per alzarsi, voltarsi e cercare di colpirla. Il pugno le raggiunse il volto, centrando in pieno lo zigomo. Tempo per lamentarsi ne avrebbe avuto a volontà non appena se ne fosse andata, perciò diede un colpo di reni e si trovò nuovamente in piedi, faccia a faccia con una donna bionda poco più grande di lei. La squadrò per meno di un decimo di secondo e le si scagliò contro, spingendola contro il mobile della cucina. La sua mente era come vuota, non pensava a nient’altro che non fosse la mossa successiva da fare per mettere al tappeto la donna e fuggire da lì.

La colpì senza mai fermarsi; pugni, gomiti, ginocchia, usava ogni parte del suo corpo perché poteva esserle d’aiuto per andarsene, e dove colpire fu il solo pensiero che occupò la sua mente in quei lunghi minuti. Per sua sfortuna, però, la sua avversaria non era poi così sprovveduta come si aspettava e ogni suo attacco fu sempre evitato per poi essere restituito in modo lucido. Contrariamente ai suoi, perciò, i colpi della donna andarono tutti a segno, per quanto fossero un decimo di quelli sferrati da lei. Dopo quello allo zigomo, fu una serie di colpi alla spalla, allo stomaco e al volto a farla vacillare e capì che da lì in avanti non sarebbe più riuscita ad avere la meglio continuando a sferrare pugni alla cieca. Tuttavia, lei non sapeva combattere diversamente, perciò decise che avrebbe fatto un ultimo tentativo e da quello sarebbe dipesa la sua fuga. Era sempre riuscita a scappare in un modo o nell’altro ed era la sola cosa che, dopo il mentire, le riusciva bene.

Strinse il pugno e approfittò del secondo in cui la donna abbassò la guardia per colpirla al volto. Le nocche centrarono in pieno il labbro inferiore, che sbatté contro i denti e lei si ritrovò la mano sporca di sangue; cercò di tirare un secondo pugno nello stesso punto ma il braccio le scivolò a causa dello slancio troppo forte e fu lei a essere colpita. Finì subito a terra, stanca e senza più fiato.

Era finita e sapeva che non sarebbe uscita viva di lì. Aveva resistito quindici anni vivendo in quel modo assurdo e ora per un lavoro da niente era stata scoperta, pestata e presto sarebbe anche morta; era stata fortunata se le era stato concesso di continuare così a lungo e non le restava altro che il rammarico di non aver avuto in dote una sorte migliore. In quei due giorni aveva pensato spesso al suo destino e le venne da ridere quando si ricordò per l’ennesima volta del tizio della sera prima. Sembrava quasi che lui, il resto dimenticato e il biglietto da visita fossero diventati il centro dei suoi pensieri, lei che di solito non si fissava su nulla per più tempo di quanto non fosse necessario.

E stava quasi per mettersi a ridere quando la donna si inginocchiò di fronte a lei, tirandole i capelli con uno strattone per alzarle il volto e guardarla dritta negli occhi. Il suo viso ancora in ordine, fatta eccezione per il labbro rotto e leggermente tumefatto.

«Finalmente ti sei calmata» le tirò i capelli finché non si ritrovò con la testa reclinata all’indietro.

Il dolore fece morire il sorriso che ancora non le aveva sfiorato le labbra e servì per far esplodere un lamento unico da tutte quelle parti del suo corpo che erano state colpite. «Avrei dovuto restare buona e farmi uccidere senza fiatare?»

«Adesso avrei proprio voglia di ucciderti» si sfiorò il labbro gonfio con un dito «Ma non posso farlo»

«Ah no?!» non si illuse. Di certo quel piacere sarebbe toccato al capo della donna e lei comunque avrebbe fatto la fine che le spettava per essere stata scoperta.

«No. Tu ci servi viva»

Quello sì che la sorprese. Era la prima volta che le accadeva una cosa simile e non aveva mai nemmeno sentito dire che una bugiarda era stata risparmiata perché avevano bisogno di lei. Non sapeva dire se quel giorno fosse il peggiore o il più fortunato della sua vita, però ciò di cui era certa era che se lo sarebbe ricordata per il resto dei suoi giorni, se mai gliene fossero stati concessi altri.

«Conosci quest’uomo?» la lasciò andare e tolse una foto dalla tasca dei jeans.

Le ci volle poco per decidersi: quello era il giorno peggiore della sua vita, non aveva più dubbi e niente le avrebbe fatto cambiare idea.

Certo che lo conosceva, anche se erano secoli che non lo vedeva ed era diverso da quello che era rimasto impresso nella sua memoria. Nei suoi ricordi quel viso era ancora giovane, senza alcuna ruga e la barba aveva un colorito bruno e non quasi bianco, ma era sicuramente la stessa persona; nonostante il suo aspetto fosse cambiato e stesse guardando una fotografia sgranata, riusciva a percepire lo stesso magnetismo che quell’uomo aveva sempre emanato e che più di una volta era stato ciò che l’aveva convinta a continuare a vivere in quel modo. Improvvisamente le venne voglia di tornare in quel bar e ordinare una birra scadente, così avrebbe potuto annegare e dimenticare tutto quello che era sbucato dal suo passato, poi però ripensò a cosa significava quell’uomo per lei e quanto dipendesse da lui il fatto che la sua vita fosse diventata uno schifo totale.

«Dove si trova?» il dolore non era più nulla in confronto al desiderio di sapere tutto su quell’uomo.

«Se verrai con me, te lo dirò»

Non aveva bisogno di pensarci. Anche se non sapeva nulla della donna o di chi l’aveva mandata da lei, le bastava avere la certezza che le avrebbero dato delle informazioni sull’uomo ritratto nella fotografia e anche se non le avessero detto niente, l’avrebbe comunque seguita proprio perché si trattava di lui. Quindi accettò, si alzò e dopo aver preso le sue borse e la valigia seguì la donna fuori dal suo appartamento.

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